Alcune caratteristiche, in età molto precoce, vengono confuse con normali variazioni di personalità, senza preoccuparsi del fatto che alcune possono essere indizio di difficoltà specifiche. Ciò avviene perché è più facile pensare che un bambino sia in difficoltà quando il suo sviluppo si discosta di molto dalla media dei ragazzini della sua età o quando ha una difficoltà evidente che altri non hanno.
Nel nostro caso quando è possibile dire che un bambino ha un livello adeguato e accettabile di apprendimento? L’età cronologica in tal caso ci aiuta poco; quella che maggiormente viene in nostro aiuto è la classe frequentata dal bambino ovvero l’avvenuto insegnamento formale a scuola.

E’ infatti proprio con l’ingresso a scuola, già nella scuola dell’Infanzia, che alcuni elementi dello sviluppo non andrebbero sottovalutati, dal momento che le attività svolte e le richieste che vengono fatte esigono un livello minimo di omogeneità tra i bambini. E’ già da questa età che alcune caratteristiche e tappe evolutive vengono messe a confronto.
A scuola possiamo incontrare bambini, già a 5 anni, che rispondono in modo differente alle letterine dell’alfabeto e alla loro manipolazione: c’è il bambino che, stimolato anche dai genitori (es. lo coinvolgono nei compiti scolastici del fratellino maggiore) mostra una sorprendente capacità (a volte è una sorpresa anche per i genitori!) di conoscenza delle lettere e manipolazione dei suoni ma c’è anche colui che, a parità di stimolazione familiare e di tipologia di compito, si dimostra meno abile.

Questo bambino che all’età di 5 anni si dimostra meno abile con le letterine e i suoni, con l’ingresso nella scuola primaria può intraprendere una sola di due vie differenti e opposte: quella che migliora nettamente la sua prestazione o quella che, a parità di percorso scolastico, sposta di poco in positivo la sua prestazione. Così, mentre i suoi compagni di classe riescono a stare al passo con i dettati o le copiature alla lavagna, lui, come affermano le sue insegnanti, ‘resta sempre indietro’.

Dove sta allora la differenza? Com’è possibile che uno stesso percorso scolastico possa apportare risultati così differenti sulla prestazione scolastica di un bambino: una migliora nettamente e l’altra solo di poco o per nulla?

E’ così che introduco la differenza tra difficoltà e disturbo dell’apprendimento.

Per comprendere bene la differenza occorre tenere bene a mente 3 caratteristiche:

  1. Innato o non innato
  2. Modificabile o resistente
  3. Presenza o meno di un deficit sensoriale e/o intellettivo;

Innato o non innato

Il disturbo specifico di apprendimento si manifesta nel momento in cui il bambino fa il suo ingresso a scuola e viene posto dinanzi a compiti di lettura, scrittura o calcolo: è lento e fa tanti errori.
E’ altrettanto vero tuttavia che già in età prescolare siano rilevabili degli indicatori cosiddetti ‘di rischio’: è facile dunque ipotizzare la presenza di un legame con la difficoltà di apprendimento sin dalla nascita.
A tale scopo, rispetto alla capacità di lettura, nel 2004 Lytinen e collaboratori effettuarono un’indagine sulla capacità di discriminazione uditiva nei figli di genitori dislessici: i risultati dimostrarono che tale capacità rispetto ad alcuni fonemi (b/d e p/b), risultava compromessa sin da neonati.
Ancora, questa volta rispetto alla capacità di calcolo, nel 2006 il professor Cantlon e collaboratori riscontrarono l’attivazione di una comune base neurofunzionale in bambini di 4 anni e in adulti posti di fronte allo stesso compito di stima di quantità.
Da queste evidenze si può intuire non solo l’ereditarietà di questo disturbo ma anche la presenza di un’alterata condizione neurofunzionale che sin dalla nascita interagisce in modo differente con gli apprendimenti scolastici di lettura, scrittura e calcolo.
La condizione di difficoltà di apprendimento si discosta nettamente da quella di disturbo sia per il fattore ereditarietà che per il fattore ‘alterazione neurofunzionale’. La difficoltà infatti è slegata da un’origine neurobiologica ma legata a fattori ‘esterni’ al bambino come il contesto socioculturale in cui vive o una particolare situazione familiare o una scarsa scolarizzazione che influenza negativamente i suoi apprendimenti. E’ dunque una situazione affatto permanente bensì transitoria e, dunque, presentabile in qualsiasi fase del percorso evolutivo e modificabile nel tempo attraverso un intervento nell’ambiente.

Modificabile o resistente

Una delle caratteristiche che più contraddistingue la difficoltà dal disturbo è la ‘resistenza al cambiamento’.

Allacciandomi a quanto scritto nel paragrafo precedente, di fronte a un bambino che mostra difficoltà di lettura (o scrittura o calcolo) possiamo ipotizzare l’origine della sua difficoltà in due modi: origine non innata, legata a un fattore ‘esterno’ al bambino come la scarsa scolarizzazione o un ambiente familiare poco stimolante e origine innata (alterazione neurofunzionale). 
Nel primo caso, che corrisponde a quello di difficoltà, è facile credere che un intervento nell’ambiente (famiglia o scuola: es. adattamenti didattici) con molta probabilità potrebbe apportare risultati positivi sulla difficoltà del bambino fino ad annullarla.
Nel secondo caso, ovvero di disturbo,  le aspettative sono differenti: intervenire solo sull’ambiente non basterebbe (es. attraverso il Piano Didattico Personalizzato). La modificazione dell’espressività del problema necessiterà di un intervento che attraverso la collaborazione scuola – famiglia- esperto ed esercizi e attività mirate da svolgere col bambino, interverrà sulla plasticità neurale del cervello sebbene la sua prestazione continuerebbe tuttavia a permanere al di sotto della media dei suoi coetanei o compagni di classe.

La presenza o meno di un deficit sensoriale e/o intellettivo

Come è intuibile, con ciò si fa riferimento all’assenza o presenza di un deficit sensoriale (difficoltà nell’udito o nella vista o nella motricità – fine o grossolana-).
Parlare di disturbo significa escludere un deficit sensoriale di qualsiasi tipo e un deficit intellettivo (es. un ritardo mentale) in modo che la difficoltà che il bambino incontra (nella lettura o scrittura o calcolo o grafia) non venga spiegata dal deficit sensoriale o intellettivo bensì dall’alterazione neurobiologica che sta alla base del disturbo.
Riporto un esempio di facile comprensione: un bambino di fronte alla lettura di un brano è lento e commette tanti errori. Fa una visita oculistica e dell’udito ed è tutto ok. Fa un approfondimento diagnostico di valutazione degli apprendimenti e viene fuori che è Dislessico e necessita di un Piano Didattico Personalizzato a scuola e di un trattamento specialistico di potenziamento. Lo stesso bambino ancora adesso quando legge commette tanti errori ed è più lento dei suoi compagni di classe. La differenza allora dove sta? Risiede nel numero di errori e nella velocità di lettura, ovvero se prima del trattamento compiva 10 errori, adesso ne compie 7 ed è leggermente migliorato nella velocità.
Parlare di difficoltà, invece, significa poter prendere in considerazione la presenza, seppur transitoria, di un deficit a livello sensoriale (udito, vista ecc. …) il quale, di conseguenza, si presenta come la causa di tale difficoltà.
Riporto anche qui un esempio facile: un bambino commette tanti errori nella lettura di un brano. Fa una visita oculistica e viene fuori che necessita di un paio di occhiali da vista. Lo stesso bambino adesso legge bene.

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